Commento al Vangelo

Commento al Vangelo di domenica 25 febbraio 2024

Commento al Vangelo di domenica 25 febbraio 2024 – II DOMENICA DI QUARESIMA, di p. Fernando Armellini   – Fonte: cercoiltuovolto.it

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. 
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,2-10

Commento al Vangelo di p. Fernando Armellini 

Ogni anno, nella seconda domenica di Quaresima, ci viene proposto il tema della trasfigurazione di Gesù. Il messaggio di questo brano non è immediatamente chiaro e facile da cogliere perché è trasmesso con un linguaggio e con immagini simboliche che richiedono una spiegazione.

La scena è ambientata in un luogo appartato, su un monte alto, dove Gesù ha condotto tre dei suoi discepoli (v. 2), gli stessi che saranno testimoni della sua agonia nel Getsemani (Mc 14,33). Marco sottolinea il fatto che erano loro soli.

Gesù si comporta come i rabbini che, quando volevano rivelare un segreto o trasmettere un insegnamento particolarmente importante, erano soliti ritirarsi con i discepoli in un luogo isolato, lontani da orecchi indiscreti, per evitare di essere uditi da coloro che non erano in grado di capire o avrebbero potuto fraintendere.

Anche sul Sinai la parola di Dio non era stata rivolta direttamente a tutto il popolo. Mosè era salito verso Dio, una prima volta da solo (Es 19,2s.), poi aveva preso con sé tre persone ragguardevoli: Aronne, Nadab e Abiu (Es 24,1). Il luogo delle manifestazioni del Signore non era accessibile a tutti: per avvicinarsi erano necessarie disposizioni particolari e una grande santità.

Il fatto che Gesù abbia riservato la sua rivelazione ad alcuni discepoli e che alla fine abbia raccomandato di non divulgarla (vv. 9-10) indica che li ha resi partecipi di un’esperienza molto significativa, ma ancora troppo elevata per essere recepita da tutti.

La rivelazione è avvenuta su un monte alto (v. 2) che la tradizione cristiana ha identificato con il Tabor, la montagna coperta di pini, querce e terebinti, che sorge, isolata, al centro dell’estesa pianura di Esdrelon. Fin dai tempi più remoti, sulla sua cima c’era un altare dove venivano offerti sacrifici alle divinità pagane. Oggi il luogo invita al raccoglimento, alla riflessione, alla preghiera e i pellegrini che lo visitano si sentono quasi naturalmente portati ad elevare lo sguardo al cielo e il pensiero a Dio.

Per quanto possa essere suggestiva questa esperienza, va ricordato che il testo del vangelo non parla del Tabor, ma di un monte elevato e questa espressione ha chiari riferimenti biblici. Nella Bibbia sono collocati sul monte le manifestazioni del Signore e i grandi incontri dell’uomo con Dio. Mosè (Es 24,15ss.) ed Elia (1 Re 19,8), gli stessi personaggi che compaiono durante la trasfigurazione, hanno ricevuto le loro rivelazioni sul monte. Più che un luogo materiale, il monte indica il momento in cui l’intimità con Dio raggiunge il culmine. Si tratta di quell’esperienza sublime che i mistici chiamano unione dell’anima con Dio, quella in cui la persona, dissolvendosi quasi nel suo Signore, si sente identificare con i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue parole e le sue azioni.

Gesù lascia la pianura dove gli uomini seguono princìpi che spesso sono in contrasto con quelli di Dio e conduce in alto alcuni discepoli; li vuole allontanare dai ragionamenti e dalle convinzioni degli uomini per introdurli nei pensieri più reconditi del Padre, nei suoi imperscrutabili disegni sul messia. Luca è ancora più esplicito quando riferisce il tema del dialogo di Gesù con Mosè ed Elia. Afferma che questi, apparsi nella loro gloria, parlavano con lui del dono della vita che Gesù stava per fare (Lc 9,31). Questa è la rivelazione sconcertante che alcuni discepoli, non tutti , un giorno hanno ricevuto dal cielo.

Le vesti bianche (v. 3) manifestano esteriormente l’identità di Gesù. Il co­lore bianco era il simbolo del mondo di Dio, era il segno della festa e della gioia. Si diceva che, nel regno di Dio, gli eletti avrebbero indossato vesti candide che “mandano scin­tille come raggi di sole”. Nell’Apocalisse l’immagine viene ripresa: in cielo gli eletti appaiono al veggente “avvolti in vesti bianche” (Ap 7,13).

Mosè ed Elia (v. 4) sono due celebri personaggi della storia d’Israele. Il primo è il mediatore di cui Dio si è servito per liberare il suo popolo e per donargli la Toràh, la Legge. È introdotto nella scena della trasfigurazione per testimoniare che Gesù è il profeta da lui annunciato quando, prima di morire, ha promesso agli israeliti: “Il Signore susciterà per voi, in mezzo a voi, fra i vostri fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto” (Dt 18,15).

L’invito ad ascoltarlo, che si trova alla fine del racconto (v. 7), ne è una conferma.

Elia, a sua volta, è il primo dei profeti, colui che era stato rapito in cielo (2 Re 2,11-12) e che si pensava sarebbe tornato prima della venuta del messia. Nella scena della trasfigurazione, entra anch’egli come testimone: dichiara, a nome di tutti i profeti, che Gesù è l’atteso messia.

Anche le tende (v. 5) che Pietro vuole costruire hanno un significato sim­bolico.

Al termine di ogni anno, alla conclusione della stagione dei raccolti, si celebrava in Israele la festa delle capanne, che durava un’intera settimana. Si costruivano capanne per ricordare gli anni trascorsi nel deserto, per richiamare alla mente le opere compiute dal Signore in passato. Questa festa era però anche un invito a guardare al futuro. Il profeta Zaccaria aveva annunciato che, alla venuta del messia, tutti i popoli della terra si sarebbero ritrovati in Gerusalemme per fe­steggiare insieme la festa delle capanne (Zc 14,16-19). Riferendosi a questo oracolo, i rabbini descrivevano il tempo del messia come una perenne “festa delle ca­panne”.

Chiedendo di costruire tre tende, Pietro si richiama a questo significato simbolico delle capanne. È convinto che sia giunto il tempo del regno di Dio, l’epoca del riposo e della festa perenne promessa dai profeti; non ha capito il vero significato della scena cui sta assistendo. Continua a coltivare l’illusione che sia possibile entrare nel regno di Dio senza passare attraverso il dono della vita. Marco annota: “Egli non sapeva cosa dire, perché erano stati presi dallo spavento” (v. 6).

La paura non indica il timore di fronte a un pericolo; è difficile, infatti, immaginare i discepoli contemporanea­mente in estasi per la gioia (v. 5) e sconvolti dal terrore (v. 6). Quando la Bibbia parla di paura di fronte a una manifestazione del Si­gnore si riferisce alla meraviglia, allo stupore che coglie chiunque entri in contatto con il mondo di Dio.

La nube e l’ombra sono immagini molto frequenti nell’Antico Testamento e servono a indicare la presenza di Dio. Il Signore si manifesta a Mosè “in una densa nube” (Es 19,9). Una nube accompagna gli israeliti nel deserto (Es 40,34-39) e copre la tenda dove Mosè incontra il Signore (Es 33,9-11). È il se­gno della presenza di Dio.

Al termine della scena della trasfigurazione, dalla nube esce una voce: è l’interpretazione che Dio dà a tutta la scena (v. 7).

Dopo aver spiegato i vari simboli, cerchiamo di fare una sintesi del messaggio che la straordinaria esperienza vissuta dai tre discepoli ci vuole comunicare.

Il racconto della trasfigurazione occupa esattamente il centro del vangelo di Marco. Fin dall’inizio, i discepoli si sono posti la domanda sull’identità di Gesù (Mc 1,27; 4,41; 6,2-3) e, ad un certo punto, hanno anche cominciato a intuire che egli era il messia. Tuttavia avevano ancora le idee confuse. Condividevano l’opinione più diffusa fra il popolo che il messia sarebbe stato un re capace di instaurare, in modo prodigioso e immediato, il regno di Dio sulla terra.

Questa convinzione traspare dalle parole di Pietro che vuole co­strui­re le tre capanne: ritiene che sia giunto il regno di Dio e che, per esserne partecipi, non sia necessario passare attraverso la morte.

In un momento particolarmente significativo della loro vita, tre discepoli privilegiati sono stati introdotti da Gesù nei pensieri di Dio; hanno goduto di un’illuminazione che ha fatto loro comprendere la vera identità del Maestro e la meta del suo cammino: egli non sarebbe stato il re glorioso che si attendevano, ma un messia osteggiato, perseguitato e ucciso. Tuttavia, il suo destino ultimo non sarebbe stato il sepolcro, ma la pienezza della vita.

Quella della trasfigurazione fu un’esperienza spirituale straordinaria in cui Gesù cercò di convincerli che solo chi dona la propria vita per amore la realizza pienamente.

Non è possibile entrare per scorciatoie nel regno di Dio, come Pietro avrebbe voluto fare. È necessario che ogni discepolo assuma coraggiosamente la disposizione del Maestro e accetti di donare la vita.

È bastata l’esperienza del monte per far assimilare questa verità ai tre discepoli?

L’osservazione conclusiva dell’evangelista: “Essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti” lascia intendere che rimasero solo frastornati, non convinti, dalla rivelazione ricevuta. È evidente che non riuscirono a comprendere che, in Gesù che andava a donare la vita, Dio stava rivelando tutta la sua gloria, tutto il suo amore per l’uomo. Solo la luce della Pasqua e le esperienze con il Risorto spalancarono loro gli occhi.

p. Fernando Armellini  

– Fonte: cercoiltuovolto.it

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